Lo strumento della fiaba e la potenza dell’inconscio tra il sopore e il sapore di una libertà riconquistata

Nell’ultimo articolo proposto ci eravamo lasciati con una questione aperta.

Si era parlato del terzo meccanismo della violenza, noto anche come “interiorizzazione”, attraverso cui l’uomo nuoce a se stesso e diviene il suo peggior nemico.

È quanto accade nei meccanismi di somatizzazione o nelle manifestazioni di malessere apparentemente invisibili.

Non disturbano gli altri, si radicano silenziosamente in colui che le vive, si associano all’ansia, a comportamenti di ritiro sociale, al sentimento di sentirsi soli, tristi, nervosi o irritabili, a sensazioni di paura e del sentirsi indesiderati, respinti, rifiutati, incompresi, non amati.

C’è una sfaccettatura, inoltre, ancor più livida e tagliente che si insinua ogni volta che questa tendenza al sentirsi disprezzabile nasce dentro di sé come risultante di una forma di violenza, assorbita nel tempo, di cui la persona si permea e si impregna al punto da diventare oggetto privilegiato dei suoi attacchi, dei dubbi e delle svalutazioni su di sé, del suo non-amore.

A sorreggere questa architrave di freddezza e intolleranza contro se stessi, ci vogliono anni di oblio e di dimenticanza verso il sé, fino al punto di sprofondare in antichissimi regni di geli emotivi e di distanze incolmabili da sé, fino al punto di non riconoscersi e di non sentirsi più “arbitri” del proprio esistere.

Come in un viaggio onirico, in questo articolo, ricorreremo a un personaggio caro alla nostra infanzia. Nella sua Ginestra, Giacomo Leopardi parlava di una natura di voler matrigna che possiamo rivisitare, oggi, scomodando la strega cattiva, protagonista delle fiabe narrate quando eravamo piccoli e indifesi.

La strega cattiva può ben incarnare, dal versante femminile, il sopore in cui, spesso, si cade quando il dis-amore si appropria di sé e colpisce una femminilità in crescita e in costruzione che viene addormentata, sopita, dimenticata, spenta, repressa o sprofondata come in un lungo incantesimo.

Ci fu una volta in cui una mia paziente in terapia mi parlò della letargia nella quale si era lasciata cadere, negando a se stessa ogni espressione della sua sensualità, della parte vitale di sé, del suo èros – dal greco ἔρως- come forza propulsiva e vivificatrice che la amasse e la sostenesse, la scuotesse, le desse alito di gioia e sostanza di vita.

Fu così che balzò alla mente come tutte le streghe cattive, da sempre, facciano malefici che addormentano le principesse. Ricordate?

L’archetipo di ogni fiaba che si rispetti ha per matrice l’addormentamento, come accade a Biancaneve che mangia la mela della sua strega cattiva o alla Bella addormentata attraverso la puntura di un fuso e per volere di Malefica, la quale le regala 100 anni di sonno profondo.

Ma non è finita qui! Esistono nella fiaba altri modi di incatenare una principessa. Come?

Lo sa bene la nostra ben amata Cenerentola, rinchiusa in soffitta o la beniamina dai lunghi e dorati capelli Rapunzel, trincerata in una torre e che attende di conoscere il sapore della sua libertà.

La strega cattiva può dunque agire provando a soffocare, segregare o privare il potenziale che dentro ogni donna vive, fiorisce e si moltiplica, rendendolo sterile e infecondo, indisponibile alle sue passioni, ai suoi interessi, a tutte le parti di un femminile giocoso e variopinto.

Anche la regina delle nevi di Frozen può trovare il suo campo di azione, dischiudendo i sentieri di una capacità di amare se stessi e gli altri, colorando tutto del bianco dei ghiacci e irrorando i paesaggi del cuore con bufere di neve gelide e sterminatrici.

Quando ciò accade, accompagno le mie pazienti a volersi bene, a scoprire dentro se stesse i sentieri di un’autostima minata, calpestata, disconosciuta in un viaggio paziente e amorevole alla scoperta di sé, in un percorso condiviso che rigeneri il loro risveglio e la consapevolezza del proprio valore.

Luciana Giordano
Psicologo clinico e Psicoterapeuta ad indirizzo sistemico-relazionale.