“RELAZIONE D’AIUTO E DIMENSIONE CORPOREA”: lo spazio della cura

“Ophelia” – J. E. Millais (1852) – Tate Gallery – Londra

Nella relazione d’aiuto, il corpo può diventare una possibilità estrema per richiedere attenzione e/o per legittimarsi in maniera distorta un bisogno di accudimento. A tal proposito ci viene da pensare a tante situazioni che abbiamo incontrato durante il nostro lavoro condiviso nello spazio laboratoriale. D’altra parte l’evidenza del corpo in qualsiasi setting è lapalissiana poiché l’elaborazione dei fatti psichici avviene all’interno del nostro corpo. Pertanto è necessario pensare al corpo come l’interlocutore privilegiato del dialogo nel qui ed ora. Si pensi anche ai più recenti orientamenti della psicoterapia senso motoria (Pat Ogden) che ha lo scopo di aiutare i clienti a sfruttare la saggezza del corpo per liberare tutto il loro potenziale umano. E’ stato Husserl, negli anni ’30, a risolvere teoricamente la differenza tra un corpo oggettivato dalla scienza, che costituisce l’oggetto appunto dell’anatomia e della fisiologia e il corpo soggettivo, “il mio corpo”, come io lo sperimento personalmente dal di dentro, carico di vissuti, di emozioni, di significati, di contraddizioni e di simboli. Allora è proprio questo “mio corpo” il potenziale vivo attraverso cui io sono nel mondo e posso essere soggetto di esperienza. A tal proposito anche il corpo di chi conduce un’esperienza di cura sarà implicato, necessariamente ed inevitabilmente. Come il fruitore, il conduttore ha una postura, un respiro, agisce con prosodia e micro-gesti, approccia con una mimica facciale, con sguardi, odori, voce, ha una identità sessuale, è giovane o vecchio, elegante o trasandato, in pace o in tensione, mobile o irrigidito.

Come conduttori responsabili di vari percorsi formativi e con tutta questa ricchezza di percezioni, vissuti e sensazioni, consapevolmente osserviamo e attiviamo tutti i canali di registrazione, facendo attenzione a ciò che avviene nel nostro corpo e negli altri corpi. L’obiettivo generale del lavoro col corpo, per ciò che riguarda il conduttore terapeuta e/o una qualsiasi esperienza laboratoriale (purché condotta o agita in uno stato di consapevolezza) è quello di passare dalla risonanza, dalla capacità naturale o allenata che sia, di percepire attraverso la propria corporeità l’eco di ciò che sta avvenendo nella relazione col fruitore, connettendo e relazionando l’interno e l’esperienza corporea del conduttore, con tutti i livelli esperienziali del fruitore. Un primo passaggio, importantissimo e mai eliminabile è il passaggio all’ ascolto, visivo ed emotivo. Nel nostro approccio guardiamo il corpo del cliente e accogliamo ciò che vediamo, senza interpretarlo, lo osserviamo fenomenologicamente. In questa veste, l’ascolto propriocettivo ci pone rapidamente in ascolto. Cosa avviene nel nostro respiro, nella temperatura corporea, alla nostra mandibola, alle mani, quando guadiamo il corpo dell’altro? Come cambia la nostra

posizione nello spazio e/o sulla poltrone mentre l’altra persona fa, dice, esprime e vive il silenzio? Il corpo del conduttore registra ciò che proviene dal fruitore e necessita pertanto di recuperare il proprio benessere una volta uscito dallo spazio professionale. Si pone quindi la questione di come tutelare il corpo del conduttore. A volte gli strumenti tradizionali, come il protocollo, la supervisione, l’analisi personale, non sono sufficienti a smaltire le induzioni raccolte. Per garantire un recupero pieno, occorre fare qualcosa anche a livello corporeo, poiché è proprio il corpo ad essere costantemente implicato all’interno della relazione di cura e/o all’interno di percorsi formativi esperienziali. Jung esitava a considerare i suoi pazienti dei malati ed un giorno smise di farli stendere sul divano. Li portava in barca e li invitava a correre con lui in campagna. Vittorio Volpi, psicanalista milanese (1935-1998) incaricava i tirocinanti di far correre i pazienti psicotici per smaltire la rabbia. E mentre ciò accadeva, i tirocinanti stessi si mettevano in gioco in prima persona. Quando correvano all’unisono, sentivano essi stessi il beneficio della corsa sul proprio corpo. Dunque si può comprendere immediatamente che il benessere di un professionista passa anche attraverso il corpo poiché la persona è una realtà intera non divisa. Il disagio è divisione, il benessere è soprattutto interazione tra le parti, possibilità di relazione. Allora: “Cercati, entra nel corpo e ascolta ”. Possiamo riconoscere i nostri disagi e i nostri stati di malessere solo se siamo educati a riconoscerli e a cercarli. Il corpo parla e non mente mai. Quando incontriamo per la prima volta un individuo, riusciamo a percepire, dal suo porsi, se è davvero piacevolmente sorpreso ed interessato a conoscerci e salutarci. Una semplice stretta di mano ci racconta: la sua energia, il suo peso, la sua voce, ciò ci guida a percepire il suo interesse e il suo emotivo. Anche quando vediamo di spalle correre qualcuno, il suo agire nella corsa, ci fa cogliere se il soggetto corre perché ha paura o se ha semplicemente fretta. La prima tappa è l’ascolto, solo successivamente potremmo passare l’analisi del movimento. Come possiamo ascoltarci? L’ascolto va ben oltre l’udito.

Occorre premettere che il benessere è il risultato di un bilanciamento: ovvero se c’è troppo dinamismo è necessario il riposo, viceversa se c’è troppa stasi, fino a quasi diventare depressione, è necessaria un’attivazione. Fondamentale è evitare di eccedere in una sola direzione. La percezione dunque potrebbe passare dal riposo e dall’attivazione. In ogni modo anche il riposo implica un movimento: quello del respiro. Per ascoltare il corpo, dovremmo prima entrarci, potremmo se il corpo lo richiede, anche chiudere gli occhi e ascoltarci: sentire la pelle, i muscoli, le ossa, il peso, il ritmo del cuore e del respiro. Nelle sedute di educazione al movimento e alla danza, prima di cominciare, si invitano gli allievi a distendersi sul pavimento e contattare il proprio corpo, entrando in uno nuovo spazio di ascolto e relazione, potremmo definirlo lo “spazio della cura”, in questo spazio-tempo dedicato, entriamo in contatto con il corpo: lo sfioriamo, lo tocchiamo, lo picchiettiamo e lo accarezziamo, scoprendone potenzialità sconosciute. Questo processo intimo potrebbe, se educato e allenato, evolversi.

Viceversa usiamo il corpo anche al contrario. Alziamo le mani quando non riusciamo più a dialogare con serenità non rispettando più né lo spazio di relazione né il dialogo verbale. In altre parole il corpo rende evidente il bisogno estremo di aiuto. Carcerati autolesionisti, giovani ragazze che non sentono più il bisogno di nutrire il loro corpo, ragazzini adottati che si strappano i capelli per segnalare la loro disperazione, donne abusate da familiari

che hanno imparato ad anestetizzare il dolore sia del corpo che dell’anima, tossicodipendenti e alcolisti che hanno riempito il loro corpo di nutrimento tossico, alimentando una “cupio dissolvii” disperata. Queste situazioni hanno in comune la centralità del corpo come canale privilegiato per chiedere aiuto, ovvero l’ultima spiaggia per reificare emozioni non dette, per esprimere il desiderio di vita proprio attraverso un ossimoro: la vita espressa con l’angoscia di morte.

Allora ripartiamo proprio dalla cura del corpo per rimetterci nel flusso della vita. La parola cura deriva dal latino “cor cordis”, cuore. In origine quindi la cura non prevede la malattia, ma il mantenimento dello stato di salute. Si pensi che nell’antica medicina ayurvedica i medici pagavano i loro pazienti se non riuscivano a mantenere lo stato di salute. Ecco l’importanza di un lavoro responsabile per mantenere lo stato di benessere del corpo e nel saper cogliere i primi segnali evidenti di disagio prima che si trasformino in malattia.

Palma Domenichiello
Performer, coreografa, ricercatrice

Carmen Greco
Psicoterapeuta famliare, Psico-pedagogista

“Cane dalle Mille Marce” – G. Balla (1912) – Knox Art Gallery – Buffalo

 

Bibliografia:

  • “Relazione d ‘aiuto e dimensione corporea”, ST.RI.D, Milano, 2006
  • “Bambini ed adolescenti che soffrono”, Vittorio Volpi, ed Sapere Padova, 1997
  • “Rapporto di coppia e salute mentale dei figli”, Vittorio Volpi, Analisi psicologica Milano, 1998
  • “Guarisci il tuo corpo” Louise L. Hay, My Life Edizioni, 2014
  • “Guida alla psicoterapia senso motoria”, Pat Ogden, Cortina Editore, 2022
  • “Lezioni di movimento” sentire e sperimentare il metodo FELDENKRAIS, Moshe Feldenkrais – Mediterranee, 2003
  • Appunti del corso in “Pedagogia del Movimento – la danza va a scuola” – Choronde Progetto Educativo – Roma
  • “Arti Terapie”, rivista trimestrale n.12, 2010