I giochi di interazione
Che bello sarebbe poter conoscere ciò che vi è sobbalzato in mente, avendo letto il titolo dell’articolo di oggi. Chissà quante immagini si accavallerebbero, quante parole e quali metafore usereste per immergervi in questo costrutto.
Il presente articolo deriva da una riflessione che è scaturita da un libro per me molto stimolante, “Donne che amano troppo”, dell’autrice Robin Norwood, psicologa psicoterapeuta americana.
Si interseca ad un altro caposaldo della letteratura psicologica “Pragmatica della Comunicazione umana” di Watzlawick” e richiama alla memoria l’assioma n. 3, secondo il quale, durante la comunicazione, ciascun parlante produce una PUNTEGGIATURA della sequenza di eventi; un modo diverso di punteggiare la sequenza potrà produrre un conflitto perché ogni comunicante interpreterà il proprio comportamento come conseguenza del comportamento dell’altro e mai come sua “causa”. In tal modo, il rischio è di bypassare il feedback che ciascuno di noi apporta all’interno dello scambio interattivo.
Torniamo, ora, al vivo dell’argomento di oggi, al concetto di gioco applicato al dialogo tra 2 persone e che proviene dall’analisi transazionale.
Possiamo definire i giochi di interazione come modi strutturati di entrare in relazione, usati per evitare l’intimità. Si declinano in risposte stereotipate utili ad aggirare qualsiasi scambio genuino di informazioni e sentimenti. Essi, inoltre, consentono ai partecipanti di porre nelle mani dell’altro la responsabilità del proprio benessere o della propria sofferenza.
Esaminiamo nello specifico alcuni possibili ruoli da esplicitare, a cui daremo 3 possibili variazioni di forma, nelle quali ciascuno dei 2 partner può alternarsi in modo ciclico e scambievole:
- ruolo del Soccorritore (S), definibile come “cercare di aiutare”;
- ruolo del Persecutore (P), definibile come “cercare di incolpare”;
- ruolo della Vittima (V), definibile come “innocente e indifeso”.
Immaginiamo l’interazione attraverso le vignette realizzate dall’artista Giovanna Giordano. Tom è un marito che, anche questa sera, fa tardi nel rientrare a casa.
Le parti di questo “gioco” si potrebbero avvicendare all’infinito, come in una partita di ping pong, in un rimpallo periodico e improduttivo di accuse e controaccuse.
Sarà determinante imparare a non farsi invischiare, evitando di farsi risucchiare dalla spirale. Dominare il proprio bisogno di “entrare nei giochi” può essere difficile, poiché ha in sé una componente magnetica che fa parte di una necessità, quasi impellente, di dirigere e controllare l’altro.
Mantenere la propria centralità e sviluppare se stessi potrà essere la “chiave” e passerà attraverso lo step precedente che è la presa di coscienza: il saper riconoscere il fatto che i “ruoli” del triangolo soccorritore, persecutore e vittima non si limitano solo agli scambi verbali ma, spesso, entrano nel nostro modo di vivere, di stare al mondo e di essere con gli altri.
Il proprio ruolo potrebbe ad esempio giocarsi in quello del soccorritore, in un esistere dedicato alla cura dei propri amici, familiari e colleghi.
Per via della propria storia personale chi interpreta questo ruolo, solo identificandosi in questi generosi “panni”, si sente al sicuro e acquisisce un sufficiente grado di
auto-accettazione.
O forse, si potrà scoprire che il gioco relazionale prediletto è quello del persecutore, di una persona intenta a trovare la colpa, a svelarla, a rimettere le cose a posto.
Sotteso a ciò emerge un bisogno di ricreare la lotta, alimentarla e di punire l’altro.
La persona che incarna questo ruolo è portatore di una rabbia antica, pretende delle scuse e si attende un risarcimento che possa riscattarlo dai “debiti emotivi”, spesso, contratti nel periodo dell’infanzia.
Infine campeggia sullo sfondo – e non per importanza – il ruolo della vittima, la cui unica alternativa pare essere quella di abbandonarsi e di sottomettersi ai capricci altrui.
Probabilmente, in un tempo diverso dal presente, per ragioni molteplici, lasciarsi vittimizzare ha rappresentato l’unica possibilità concreta.
Con il tempo, il ruolo si è cristallizzato nella sua forma ed è diventato tanto familiare da diventare una forza in colui che lo detiene.
A ben guardare, c’è una tirannia nella debolezza, il cui potere è quello di “dare la colpa” che è la moneta corrente di scambio nelle relazioni che la vittima intesse e intrattiene.
Cosa potrà fare la differenza, dopo la presa di coscienza?
Comprendere e fare esperienza che, incatenarsi a uno di questi ruoli, ci impedisce di concentrarci su noi stessi e ci tiene legati alla paura, alla rabbia, all’impotenza infantile. Rinunciare, anche se con fatica, a giocare queste “funzioni” restrittive e bloccanti potrà acquisire il significato di sviluppare a pieno il proprio potenziale di esseri umani pienamente evoluti.
Come si sollecita e promuove?
Nel crescere, diventando adulti e responsabili della propria vita, fautori delle proprie scelte, agenti delle proprie azioni, costruttori del proprio cambiamento.
Luciana Giordano
Psicologo clinico e Psicoterapeuta ad indirizzo sistemico-relazionale.