Breve viaggio alla scoperta della mente del bambino. Alcune strategie per favorirne lo sviluppo

Che cosa desideriamo per i nostri bambini?

Nelle nostre famiglie spesso si fa esperienza di giornate stressanti e impegnative in cui il nostro unico desiderio sembra quello di poter “sopravvivere” agli inevitabili momenti critici che si susseguono nella relazione con i nostri figli: battaglie per i compiti, discussioni per il cibo, litigi fra fratelli e sorelle… In questi casi per i genitori arrivare al giorno successivo rappresenta già un grande traguardo. Tuttavia, quando si tratta dei propri figli si mira ad altro, a qualcosa di più della semplice sopravvivenza, magari poter crescere un figlio affinché possa fiorire, realizzare a pieno il suo potenziale, come il saper controllare i propri impulsi, regolare i propri stati emotivi, potenziare le capacità di apprendimento, imparare dalle esperienze passate, intrecciare relazioni significative, diventare una persona premurosa e rispettosa, una persona che stia bene con se stessa.

Ma sappiamo davvero come funziona la mente dei nostri piccoli? Cosa facciamo per promuoverne lo sviluppo? Quali strategie mettiamo in pratica per favorire il loro benessere psichico?

Per raggiungere questi obiettivi risulta necessario comprendere il funzionamento mentale e i processi di sviluppo del cervello dei nostri bambini, così da poter intervenire con strategie efficaci e sintoniche rispetto ai loro bisogni psicofisiologici.

A volte si pensa che i momenti importanti, affettuosi, siano distinti dai momenti in cui si affrontano i problemi quotidiani. Invece non è così. I casi in cui un figlio, manca di rispetto al genitore, fa i capricci per i compiti, scarabocchia una parete, sono certamente anche momenti “di sopravvivenza”, ma allo stesso tempo costituiscono delle opportunità, un contesto privilegiato in cui dispiegare l’importante lavoro dell’essere genitori.

L’idea di base è quella di considerare il bambino come colui che, aperto all’esperienza fin dalla nascita, può “fiorire, mettere a frutto le sue risorse, realizzarsi in ogni aspetto della sua vita, essere se stesso e sentirsi a proprio agio nel mondo” (Siegel e Bryson, 2012). Tutto ciò avviene naturalmente all’interno delle relazioni, luogo prioritario in cui essere ascoltato, considerato e amato.

Nella funzione di genitori, si è per così dire predisposti a cercare di proteggere i figli da qualunque male o ferita, ma ciò non è sempre possibile. I bambini cadono, vengono feriti nei loro sentimenti, si spaventano, si arrabbiano, provano tristezza. Di fatto, queste esperienze difficili spesso consentono loro di crescere e conoscere il mondo. Pertanto è possibile sfruttare queste situazioni per aiutarli ad integrare tali esperienze nella loro comprensione del mondo.

Non dimentichiamoci che i bambini, anche piccoli (4-5 anni), sanno comprendere alcune informazioni semplici sul funzionamento del cervello e di conseguenza, comprendere se stessi, le proprie azioni ed emozioni.

Il concetto di partenza che ci apre le porte all’esplorazione del funzionamento della mente e di alcune strategie utili a favorirne un sano sviluppo è quello dell’integrazione fra le diverse parti che costituiscono il cervello. Un primo tipo di integrazione riguarda l’emisfero destro (emozionale) e quello sinistro (razionale) che, grazie alla presenza di un fascio di fibre nervose, il corpo calloso, permette al bambino di entrare in contatto sia con la parte emotiva che con quella razionale. L’emisfero destro, infatti, è interessato alle immagini, emozioni, ricordi, è intuitivo, ci fa provare le cosiddette “sensazioni di pancia”; mentre l’emisfero sinistro è logico, lineare, razionale e ama le parole. In termini di sviluppo, nei bambini molto piccoli (fino a 3 anni) la parte dominante è quella destra. Quando arriva il periodo dei frequenti e continui “Perché?” la parte sinistra del cervello sta iniziando a farsi strada nel complesso processo di maturazione e sviluppo mentale che continuerà fino alla tarda adolescenza.

L’integrazione attiene anche la parte alta del cervello (riflessiva) e la parte bassa (istintiva, legata alla sopravvivenza). Immaginiamo il cervello come una casa: al piano terra ci sono le aree più primitive, responsabili di reazioni e istinti innati, alla base della sopravvivenza; al piano superiore, invece, ci sono le aree più evolute in cui avvengono processi complessi come pianificare, immaginare, decidere. Questo piano “alto” permette di regolare le proprie emozioni, di mettersi nei panni dell’altro, di considerare le conseguenze delle proprie azioni. Gli adulti possono contribuire a questo tipo di processo d’integrazione aiutando i bambini a costruire e fortificare la “scala” che collega il piano basso ed il piano alto del cervello.

Quali strategie, quindi, per trasformare le interazioni di ogni giorno in occasioni di crescita sia per i genitori che per i bambini? Vediamone alcune insieme, che si basano sull’importante concetto di integrazione orizzontale (emisfero destro e sinistro) ed integrazione verticale (parte alta e parte bassa del cervello).

Entrare in sintonia e reincanalare: quando un bambino sperimenta un’emozione intensa, da cui si sente sopraffatto, per prima cosa è necessario sintonizzarsi con lui sul piano emotivo (da emisfero destro a emisfero destro). La sintonizzazione, che passa spesso per canali non verbali, come il contatto fisico, uno sguardo rassicurante, un tono di voce basso e accogliente, ascolto senza giudizio, contribuisce a riportare in equilibrio il cervello del bambino. Solo successivamente a questa sintonizzazione, quando l’intensità emotiva inizia a scendere, il bambino è in grado di riconnettersi alla parte razionale, diventando più ricettivo, ed è questo il momento adatto per ricorrere agli insegnamenti, alla disciplina (chiamando in causa l’emisfero sinistro), in tal caso si può provare a reincanalare l’attenzione e le energie attraverso l’uso di tutte le abilità appartenenti all’emisfero sinistro (spiegare, pianificare, trovare soluzioni alternative).

Nominare per dominare: una difficoltà, una crisi, possono sempre trovare uno spazio contenitivo che permetta al bambino di manifestare ed esprimere ciò che sente. In che modo? Il genitore può aiutarlo, ad esempio, a raccontare l’esperienza, quindi a trasformare in parola il contenuto emotivo, ciò che proviene dall’interno del suo corpo e del suo cuore, affinchè l’emisfero sinistro possa aiutarlo a dare senso al vissuto, mettere ordine, dando un nome alle sensazioni ed emozioni che sente, collegando una situazione ad un’emozione, considerando le conseguenze dei proprio e altrui comportamenti e così via.

Alcune strategie per facilitare la connessione tra “il piano di sotto” del cervello, ossia la parte istintuale e il “piano di sopra”, ossia la parte più riflessiva, sono:

Attivare senza infiammare: rivolgendoci ad un bambino, ci chiediamo mai quale parte del suo cervello chiamiamo in causa, “attiviamo” la parte superiore o “infiammiamo” quella inferiore? Di fronte a situazioni di sfida, noi adulti abbiamo sempre la possibilità di scegliere quale via prediligere, non che l’una sia sbagliata e l’altra giusta, ma ogni esperienza rappresenta sempre un’opportunità di crescita per il bambino e potenziamento di funzioni superiori quali l’autocontrollo, l’empatia, l’autoregolazione, e tutto ciò passa proprio attraverso la parte alta del cervello. Come adulti, sappiamo che possiamo ottenere ciò che desideriamo sfidando o imponendo, esigendo, ma questo approccio contribuisce ad alimentare la “fiamma” della parte bassa del cervello, generando spesso altre intense emozioni come rabbia, ingiustizia. Un’altra opzione è coinvolgere la parte superiore del cervello del bambino, aiutandolo a riflettere sulla situazione e trovare un compromesso, una negoziazione, lì dove possibile, e sempre osservando e rispettando i fisiologici tempi collegati alla reazione emotiva in atto.

Mettere in movimento il corpo per non perdere la testa: quando un bambino perde il contatto con la parte superiore del cervello un modo efficace per fargli ritrovare l’equilibrio è proprio fargli fare del movimento. Infatti avrete notato che quando modifichiamo il nostro stato fisico, facendo ricorso al movimento o al rilassamento ad esempio, possiamo cambiare il nostro stato emotivo. In questo modo aiutiamo a riattivare quel collegamento tra le due parti del cervello utilizzando il corpo come ponte di comunicazione.

Naturalmente queste strategie non sono pozioni magiche e non sempre permettono di raggiungere l’obiettivo; inoltre è bene sottolineare che questo tipo di approccio allo sviluppo del bambino non lancia un messaggio di permissività o accettazione di comportamenti inappropriati come mancare di rispetto, o offendere, che non devono trovare spazio nemmeno in momenti di intensità emotiva. Potrebbe servire, ad esempio,  bloccare un comportamento distruttivo o allontanare il bambino da una situazione prima di provare ad utilizzare qualsiasi tipo di strategia. Potrebbe ancora, essere importante osservare il proprio bambino quando ha una crisi o una richiesta insistente per riconoscere quando l’azione o la crisi sono dettate dal tentativo di attuare strategie manovrate e attività manipolative per ottenere qualcosa, e non invece frutto di uno sbilanciamento provocato dall’incapacità, in  quel momento di controllare il proprio corpo, le proprie emozioni e le proprie azioni, che ha come conseguenza una forte disregolazione e non integrazione tra le diverse parti del cervello.

Queste sono solo alcune delle molteplici strategie che possiamo provare a mettere in atto, per sentire se ci “indossano” bene; possono rappresentare strumenti utili da poter inserire nella “valigetta degli attrezzi” propri di ogni genitore o adulto che si occupa di bambini, costruiti attraverso le relazioni o appresi grazie alle esperienze, da aggiungersi al proprio bagaglio per arricchire le interazioni con i più piccoli, permettendo loro di sbocciare e fiorire, ognuno con i suoi colori al meglio delle proprie risorse e caratteristiche.

Vania Labriola
Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento cognitivo, specializzata nell’intervento in età evolutiva.