La violenza nella mediazione familiare

Prima di condividere alcune brevi riflessioni scaturite dalla mia esperienza di mediatrice familiare sul tema della violenza portata e agita dalle coppie in crisi nella stanza di mediazione, è opportuno precisare che non possono accedere al percorso di mediazione familiare le coppie nelle quali la violenza diviene una componente patologica e con profili penalmente rilevanti del rapporto stesso. Infatti, in questi casi verrebbe meno la possibilità di una comunicazione paritaria e di dialogo efficace tra i mediandi, inficiato dai meccanismi che si innescano tra aggressore ed aggredito, non consentendo la paura o situazione di pericolo sofferta da quest’ultimo, di accompagnare la coppia in un proficuo percorso di riconoscimento di ruoli e responsabilità, al fine di giungere ad accordi condivisi sul nuovo assetto da dare alla famiglia.

Esistono però altre forme di violenza che si manifestano durante gli incontri di mediazione familiare e che devono essere accolte nella stanza della mediazione che diviene quello spazio protetto, diverso e avulso dal contesto giudiziario, dove consentire alla coppia di incontrare la violenza per superarla.

Si tratta della violenza generata dal dolore per la crisi del rapporto, per la perdita dell’altro, per l’incertezza del futuro, per la rabbia della fine di un progetto e che si manifesta per lo più verbalmente, sebbene spesso accompagnata dal chiaro linguaggio del corpo, oppure si presenta sotto forma di silenzi che appaiono assordanti per quanto grande è il dolore non più esprimibile con la parola, al punto da tacere.

Ebbene, di questa violenza non deve aver paura il mediatore familiare che anzi dovrà riconoscerla come una fase congenita del percorso di mediazione, violenza che la coppia potrà superare solo dopo averla esternata. E’ quel passaggio trasformativo che Jacqueline Morineau, fondatrice del metodo della mediazione umanistica, richiamandosi alla tragedia greca, divide nelle tre fasi della narrazione, della crisi e della catarsi; non potrà esserci catarsi senza crisi.

Il mondo odierno, invece, per quanto sia intriso di violenza, vorrebbe negarla nel senso di non riconoscerle uno spazio, dimenticando che la violenza fa parte dell’uomo, non perché l’uomo sia cattivo, ma perché è insita in lui da sempre e solo riconoscendola, è possibile superarla.

È un concetto che la Morineau spiega con l’esempio di alcuni riti iniziatici praticati da antiche tribù africane o richiamando l’educazione dello Japi, un uccello esotico del Brasile che costruisce il suo nido vicino a quello delle vespe e prima che i suoi piccoli inizino a volare, le stuzzica affinché attacchino gli uccellini durante il loro primo volo. E’ una sorta di rito di passaggio iniziatico nel quale lo Japi espone volontariamente al pericolo i suoi piccoli per renderli più forti per il futuro, in modo da integrare fin dall’inizio il pericolo nell’educazione dei  piccoli che venendo a contatto con il pericolo, la violenza riescano a superarla. Allo stesso modo mi piace pensare che ogni coppia seguita in mediazione dietro la violenza di urla, lacrime, accuse e silenzi riesca ad intravedere un volo ad ali spiegate verso un nuovo futuro, proprio come lo Japi.

Celeste Defina
Avvocato civilista e Mediatrice Familiare